Un incrocio di valli, fili di fumo grigio da camini di vecchie fattorie, campi coltivati scossi dal vento. Un paesaggio d’altri tempi. È bello percorrere le strade di collina che fanno da spartiacque tra i fiumi Tordino e Salinello.

La mappa del territorio, di clivo in clivo, si accompagna alla certezza di una beltà senza confini, in un susseguirsi di cambi di scena comunque uniformi. Geografie minute che si legano alle vicende storiche di secoli. Spira il grecale, portando i profumi della terra.

Continui cambi di prospettiva. Vigne, crinali, campi arati, strade, siepi e alcuni campanili che denotano la presenza dei paesi. La mia Nikon scatta una classica foto panoramica che celebra l’incontro tra l’uomo distruttore e la natura riparatrice.

Arrivo a Ripattoni, due passi dall’antico borgo fortificato di Bellante, e la vita sembra scorrere come un tempo quando nel X secolo, queste terre erano di proprietà del suo primo feudatario, Attone.

Gli antichi palazzotti signorili sembrano condannati dal tempo e dall’incuria alla completa decadenza. Non abdica, però, al ruolo di severo custode delle origini medioevali, l’imponente torre in centro paese.

Così vicino nello spazio, così lontano nel tempo. Penso a questo mentre affacciato sul muro del belvedere di Ripattoni, ai miei occhi si apre una finestra sull’immensità di colline e montagne che regalano pace all’anima. Ma c’è anche una valle, ricordiamolo, quella del Tordino, pesantemente cementificata, dove scorre veloce e puzzolente il traffico della superstrada che porta a Roma.

Qui però, a pochi chilometri sopra, è tutto un altro mondo. È l’alternativa all’aggressione del bitume, il trionfo di un quieto paesaggio bucolico. Il silenzio della campagna riesce a dare l’idea del tempo che si è fermato. Di certo non è solo pace. C’è anche tanta storia, per giunta sontuosa.

L’atmosfera del borgo di Ripattoni è qualcosa d’incantevole in grado d’ispirare la sensibilità di artisti e il gusto del bello dei turisti. L’armonia delle testimonianze monumentali è preservata da quest’angolo di medioevo intatto, tra acciottolati, scalinate, palazzi, portici e anfratti fatti di pietre che raccontano la storia e l’identità del vecchio e minuscolo borgo.

Nella mente torna la frase del grande reporter Ansel Adams che diceva: “La fotografia non è solo quello che vedete ma anche e soprattutto quello che sentite”. Per restituire a un pubblico ignaro di tanta bellezza la realtà del piccolo paese, occorrerebbe la magia che grandi fotografi hanno nel loro bagaglio tecnico.

“Il cuore di Ripattoni è fatto di pietra”, recita un simpatico libercolo realizzato da una vulcanica Pro Loco che organizza tante iniziative per condividere con più persone possibili la bellezza di “Ripa Actonis”. La Rupe di Attone, come detto, era il regno del principe longobardo che possedeva tante terre tra Teramo e Bellante.

Poi venne il dominio degli onnipresenti Acquaviva, che incastellarono mirabilmente l’abitato. Ancora oggi c’è una fantastica torre trecentesca in pietra e laterizio che è il vero simbolo del luogo, a base quadrangolare, ai piedi della quale si trova l’anonima chiesa dei santi Silvestro e Giustino.

Il gioiello del paese però è sicuramente il possente Palazzo Saliceti, da poco restituito alla fruizione pubblica con mostre di notevole interesse. Nacque proprio qui il patriota Aurelio Saliceti (1804-1862), ammirato giureconsulto e tra i primi affiliati alla storica Giovane Italia, ministro di Grazia e Giustizia nel Regno delle Due Sicilie.

Mentre decido di visitare la chiesina campestre di Santa Maria in Herulis, pochi tornanti da Ripattoni, ecco che il silenzio viene rotto da un corteo strombazzante di auto al seguito di un matrimonio. Vanno nella mia identica direzione, completando l’ultima curva prima di imboccare la stradina sconnessa che porta all’antica parrocchiale di Santa Maria in Herulis.

Seguo la polverosa comitiva e arriviamo tutti insieme davanti alla minuscola chiesa, oggetto di un lungo intervento architettonico che le ha restituito parte della sua originaria bellezza.

Il complesso architettonico è tutt’altro che imponente. Questo tempio campestre, a unica navata, dalle notizie storiche incerte è d’impianto romanico. Si denota soprattutto per una bella monofora e alcune colonne. La chiesa, secondo gli scritti del Palma, era frequentata in epoche lontane dai servitori, gente umile i cosiddetti “eruli”.

I padroni delle terre, come ricorda Rino Faranda in una delle sue pubblicazioni, seguivano le messe nell’aristocratica parrocchiale di San Silvestro, oggi Santa Giustina.

Tra i parenti in festa, riesco a soffermarmi sul romantico portico a tre ingressi, due ai lati, uno al centro. Nella cuspide che sormonta il piccolo portale, oggi completamente rifatto, un tempo faceva bella mostra di sé una Vergine con, in braccio, il Bambino stretto nelle fasce.

Sono risucchiato dalla frotta di gente pronta a entrare. All’interno, tratti di affreschi cinquecenteschi ricoperti da poco interessanti e successive pitture del ’700. Anticamente la chiesa era sicuramente tutta affrescata e questo rende l’idea della sua importanza artistica. Oggi fanno bella mostra di sé tre altari.

L’insieme è gradevole nonostante il tempio sia stato rimaneggiato da alcuni furti, l’ultimo dei quali, nel 1979, vide la scomparsa di una pregevole statua lignea della Madonna di fattura tarda trecentesca.

C’è anche un bel soffitto con travi di legno. Il presbiterio, un gradino più in alto del pavimento, è compreso in un arco a tutto sesto. Intorno, figure votive di piccoli putti, la Madonna del Carmine e santi a decorare tutto l’insieme.

Gli sposi raggianti celebrano il loro “sì”. Sorrido e, in cuor mio, auguro loro una buona vita in due!

 

da il fatto teramano